Jesse Owens | |
Il suo nome esatto è James Cleveland Owens,
detto J.C., ma quando la maestra gli chiede
il nome, lui risponde con le iniziali, che
suonano in inglese come "giei-si"
in italiano: lei capisce "gessi",
come si pronuncia Jesse in inglese, ed ecco
il soprannome che non perderà più. E' nato il 12 settembre del 1913 a Danville, in Alabama, in una famiglia di dieci persone, certo non ricca, e a otto anni fa già il ragazzo dell'ascensore in un albergo. A 16 anni fa una bravata: con il suo amico Dave Albritton, che a Berlino sarà oro nel salto in alto, va fino in Pennsylvania con la quindicenne Ruth Salomon su una Ford scassata e la sposa (Ruth, non la Ford). La macchina è costata tre dollari di anticipo: Jesse da questa avventura ricaverà una delle sue più grandi soddisfazioni, perché Ruth gli resterà al fianco tutta la vita. Atleticamente, lo ha scoperto Charles Riley alla scuola media: con i primi risultati guadagna addirittura una borsa di studio per l'Università, la Ohio State, dove trova Larry Snyder, uno dei migliori coach d'America. E per l'Ohio State compie la prima delle sue due straordinarie imprese: il 25 maggio 1935, a Ann Arbor, Michigan, nonostante una caduta dalle scale che lo fa quasi zoppicare, vince quattro gare in un'ora e un quarto, eguagliando in 9"4 il mondiale delle 100 yards e stabilendone altri tre. Il capolavoro che lo consegna definitivamente alla storia si consuma dalle 11,29 del 2 agosto alle 15.16 del 9 agosto 1936: sono dodici turni olimpici in otto giorni, spaziando dai 100 ai 200, dal lungo alla 4x100. Nessun problema: vince i 100 m. in 10"3; vince anche nei 200, e scava un abisso in staffetta con 39"8, nuovo record del mondo, annichilendo i nostri atleti italiani, che pure in 41"1 sono splendidi secondi. Durante la gara di salto in lungo l'idolo locale è Lutz Long, i due fanno amicizia, tra l'imbarazzo dei gerarchi nazisti. In qualificazione Jesse piazza due nulli e solo alla terza e ultima prova, si dice grazie a un consiglio di Long, supera i 7,15 richiesti. In finale è un botta e risposta di salti sempre più lontano, ma l'ultima parola è quella di Owens che atterra a 8,06. Dopo la conquista della medaglia d'oro Lutz è il primo a congratularsi e lo stesso Jesse descrive quella stretta di mano come sincera. Negli anni seguenti si scriveranno più volte, e quando Long cadrà a Cassino, nella seconda guerra mondiale, Jesse piangerà come un bambino alla notizia. La leggenda vuole che Hitler abbia lasciato lo stadio per non stringere la mano al nero americano: in realtà le cose andarono diversamente: innanzitutto, il Fuhrer premiava solo i tedeschi, e dopo la prima giornata fu pregato dal Cio o di premiare tutti, o di smetterla, cosa che fece; inoltre, come scrisse Owens nella sua autobiografia, "The Jesse Owens Story": "Quel giorno, dopo essere salito sul podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d'onore per rientrare negli spogliatoi. Il cancelliere tedesco mi guardò, si alzò in piedi e mi salutò con un cenno della mano. E io feci altrettanto. Penso che gli scrittori mostrarono del cattivo gusto nel criticare l'uomo del momento in Germania." Per ironia della sorte, fu il presidente statunitense dell'epoca, Franklin D. Roosevelt, in quel periodo impegnato in un'elezione e preoccupato della reazione degli stati del sud, a cancellare un appuntamento con il pluriolimpionico alla Casa Bianca. Owens fece notare in seguito che fu Roosevelt, e non Hitler, a snobbarlo. |
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La Resistenza MariaPaola Colombo - classe III A - esame di licenza media - anno scolastico 2006/2007 - |
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